(rec.) Athos Gastone Banti - Le Illusioni Novelle. - Livorno, Belforte, 1904.
Pubblicato in: Il Regno, anno I, fasc. 4, p. 14
Data: 20 dicembre 1903
pag.14
Il macabro disegno di O. Ghigna che campeggia sulla copertina farebbe temere delle novelle fantastiche e terribili, qualcosa di simile ad una combinazione italiana di Anna Radcliffe e di Edgard Allan Poe. Invece si tratta di nove racconti di un livornese che ha, letto Maupassant, Gorki e anche Renato Fucinì. Racconti ove scopri, malgrado qualche omicidio e qualche suicidio, un po' di quella ironia sulle cose e sugli uomini che si trova sì raramente in Italia. E ci trovi inoltre, della finezza e della tristezza. Così, nella Rivolta, l'apostolo socialista del XXI secolo, dopo il trionfo del proletariato, vedendo come le cose vadano, all'incirca, male come prima, pensa fra sè: «La rivolta! Ci siamo rivoltati contro tutti contro re, contro governi, contro borghesi, contro tutti: ora non c'è più nessuno, nessuno con cui sfogare questo malcontento ch'è in noi continuo, incessante, inesorabile, come un tarlo, come un cancro. Nessuno più contro cui rivoltarsi. Nessuno! fuori di noi, della Natura, di Dio» (pp. 74-75). Il Banti è dunque un pessimista ed è naturale che ami i novellieri pessimisti, come il Gorki, dal quale ha imitato, mi sembra, la sua novella I due vinti. Ma non arriva alla sintesi tragica del poeta dei vagabondi: c'è in lui di quella prolissa debolezza toscana ch'è così odiosa agli uomini forti. Il Banti è ancora troppo triste e non è ancora abbastanza forte.
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